S. Giovanni Bianco

SAN GIOVANNI BIANCO - ESTATE '45. - "Giuro, ada chel là!" all'esclamazione del compagno i nostri sguardi scattano all'unisono nella direzione del suo. Cribbio, sul pilastro della sponda opposta c'è ritto l'"Uomo mascherato". Prima, fuorché nei fumetti, chi s'era imbattuto in un sub? Nemmeno l'estensore di queste righe, nonostante la prolungata dimora a San Remo a motivo dell'impiego paterno, era andato più in là del palombaro del pontone di drenaggio del porto. Dalla figura atletica e dai pantaloncini blu riconosciamo quel giovane signore con pizzetto biondo-castano che poco prima c'è passato accanto, scherzando col frugoletto biondo che gli sguazzava a due passi. Questi ora gli parla dal pilastro sulla nostra riva. Circospetti, noi ci si muove verso il ponte. Più che gli strani occhialini che gli coprono quasi interamente il viso e quelle enormi zampe d'anatra in cui ha infilato i piedi, dell'equipaggiamento del misterioso personaggio, c'incuriosisce l'aggeggio che impugna. Di certo si tratta di un'arma, ma di così non ne abbiamo viste mai. Essì che, fra Wermacht, miliziani varii della Repubblica Sociale, partigiani eccetera, a fucili e mitra ci siamo fatti l'occhio. Questa qui, di primo acchito, rammenta una "machine-pistole", più lunga ed esile però, senza il
caricatore e con una specie di "pirù" (forchetta) alla bocca della canna.
Il signore espirò ed inspirò profondamente. E si calò in acqua. Battute, ammiratissimo da noi che al massimo ce la cavavamo "a cagnì" e "a spada", alcune bracciate in perfetto "crawl", s'immerse, prendendo a nuotare in direzione della diga dell'"Orobica". Risalendo il greto senza più titubanze, ne seguivamo, col biondino, le evoluzioni controcorrente. Lo scorgemmo bloccarsi un attimo e armeggiare rapido col suo moschetto-balestra. Poi riaffiorò e noi rimanemmo stupefatti alla vista di una bella trota penzolante dal dardo forcuto che l'aveva trapassata. Sceso di nuovo in acqua, fece un'altra preda. Tornato a riva, qualcuno del capannello, che s'era andato infoltendo attorno a noi, gli suggerì di fare una battuta nel profondo stagno pescoso allargantesi sotto lo sfioratore. Rispose,
sorridendo, che per quel giorno bastava.
In quel "fongarù" si tuffò – così mi raccontarono più tardi gli amici presenti all'evento – di lì ad alcuni giorni: per ripescare trote e temoli, una mezza dozzina, rimasti incagliati in un anfratto del fondale roccioso, sbattuti lì dallo scoppio di un ordigno a carburo (ma, secondo taluno, trattavasi di bomba a mano). A lanciarlo era stato uno di noi, dei più grandi della banda. Risalito in superficie, il munifico fiocinatore, tenendo i pesci infilati in un rametto di salice, s'avvicinò al bombarolo, e "Tò – gli disse – portali alla tua mamma". Il ragazzo s'allontanò estasiato con l'argenteo bottino: perdurava all'epoca, severo, il razionamento annonario. Che l'"Uomo mascherato" fosse il capitano di corvetta Luigi Ferraro lo si seppe anni dopo. Confusamente, allora, diffusa da "radio-scarpa", correva in paese la voce che era un ufficiale dei servizi segreti, asso della guerra sottomarina. Be', non è che si fosse poi tanto fuori mira. Abitava, questo era sicuro, nella Villa Alexandra, con il figlioletto e la moglie, una graziosa signora. Nelle sue esplorazioni nel Brembo, aveva notato il pericoloso deterioramento dei seicenteschi pilastri. Avvertì il Comune, che provvide. Può darsi che se il pittoresco Ponte dei Frati è tuttora in piedi lo si debba all'affondatore di Alessandretta.
Tratto da “Le trote del Vescov dopo le navi di Winston” - di Bernardino Luiselli – Ed. Annuario 2005 del C.A.I. Alta Valle Brembana.